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Il bio è di moda
Crescono in Italia le aziende che richiedono la certificazione per produrre tessile da fibre biologiche. Secondo gli esperti entro quest’anno si registrerà il boom del settore
di Roberta Pizzolante
Per ora è un mercato ancora di nicchia. Ma secondo gli esperti, nel 2008 l’uso del biologico nella produzione tessile e nell’abbigliamento toccherà il suo massimo. Secondo le proiezioni di Organic Exchange, un’associazione no profit di Berkeley (California) che promuove la produzione di biocotone e altre fibre “verdi”, il mercato mondiale nel settore toccherà quest'anno i 2.600 milioni di dollari, mentre la domanda raggiungerà il traguardo delle 100 mila tonnellate. E non c'è da stupirsi, visto che anche le passerelle dell'alta moda, nelle ultime sfilate, hanno strizzato l'occhio al bio, interessate come sono a sviluppare un mercato sostenibile e a basso impatto. Il settore è in crescita anche in Italia, come conferma Paolo Foglia, responsabile del settore Ricerca e Sviluppo dell’Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale (Icea), che certifica i prodotti tessili biologici in accordo allo standard internazionale Gots (Global Organic Textile Standard) e che ha organizzato la conferenza “Tessile e fibre biologiche”, a Carpi nel giugno scorso: sono almeno 300 le aziende italiane che hanno chiesto la certificazione.
Alla base del boom ci sono più motivazioni. La principale è senza dubbio quella etica: scegliere un capo in tessile biologico significa fare una scelta salutare ma anche rispettosa dei diritti umani, visto che il sistema di produzione delle fibre bio è sostenibile. “Il cotone rappresenta il 90 per cento delle fibre biologiche trattate, poi ci sono anche lino, seta, lana e canapa”, spiega Foglia. “Nelle coltivazioni biologiche non si fa uso di prodotti chimici, pesticidi e insetticidi. Basti pensare che sulle colture di cotone tradizionale, che occupano il 2-3 per cento della superficie coltivata mondiale, viene utilizzato il 25 per cento del totale degli insetticidi e l’11 dei pesticidi”. Con conseguenze serie per gli agricoltori e le popolazioni rurali. Secondo l’Oms, tra 500 mila e 2 milioni di persone sono vittime ogni anno di incidenti da avvelenamento di cui 40 mila mortali. Inoltre nelle produzioni biologiche c’è il divieto di ricorso agli ogm e si fa uso razionale dell’acqua e rotazione delle colture per evitare l’impoverimento del terreno e limitare uso fertilizzanti chimici. Una produzione sostenibile, insomma, che tutela l’ambiente delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo garantendo loro anche un cospicuo vantaggio economico, visto che il cotone biologico viene pagato il 20-30 per cento in più.
Ma se le imprese tessili si convertono alla filosofia verde, non è soltanto per motivi etici. C'è che il mercato, stimolato dai consumatori più accorti, è in espansione, soprattutto in Europa (76 per cento del totale del mercato dell'abbigliamento, seguita da Usa e Canada con il 21). A trainare la crescita della domanda sono stati i grandi marchi e rivenditori. Il numero di quelli che vendono prodotti in cotone bio è aumentato negli ultimi tre anni passando dai circa 200 del 2003 agli oltre 800 della prima metà del 2005. Nike, Sam’s Club, Coop Svizzera, Otto e Patagonia sono i principali acquirenti, in termini di volume, del cotone biologico. Nike è in testa con un consumo stimato di circa 2.041 tonnellate di cotone. Sam’s Club/Wall Mart ha acquistato negli ultimi dodici mesi circa 1.361 tonnellate. Svizzera, Otto e Patagonia consumano da 680 a 900 tonnellate per anno, prodotte per lo più in Turchia, India, Cina, Perù, Tailandia e Usa.
Per un'azienda, però, ottenere la certificazione, non è facile. Non basta cioè utilizzare le fibre bio, ma è necessario mettere in atto una serie di procedimenti manifatturieri che rispettino l’ambiente e facciano un uso efficiente delle risorse. “L’industria tessile usa l’acqua come principale mezzo per rimuovere impurità, applicare i colori e gli agenti di finissaggio, e per generare vapore. Il principale problema è, quindi, rappresentato dalla quantità di acque scaricate e delle sostanze chimiche in esse presenti”, continua Foglia. “Sebbene sia consentito l’uso dei coloranti sintetici e non solo vegetali, certe categorie sono escluse e sono accettati solo i solventi non pericolosi per la salute, in base alla tossicità ed ecotossicità, alla loro biodegradabilità e assorbimento nell’ambiente”. Dunque l’obiettivo di un’industria che tratta fibre biologiche deve essere anche quello di minimizzare l’inquinamento e i rifiuti. Il ciclo di mercerizzo, responsabile dello scarico nelle acque reflue di una grande quantità di alcali che deve essere neutralizzata, è ammesso unicamente qualora i bagni di mercerizzazione siano recuperati e riutilizzati. Per quanto riguarda il candeggio, invece, è accettato solo quello con acqua ossigenata e non quello al cloro. Vietati molti finissaggi, come il trattamento anti-stiro e la resinatura sintetica.
Da questo punto di vista, tuttavia, l'Italia arriva un po' in ritardo. “Il nostro istituto certifica oltre il 90 per cento delle imprese nazionali di tessile biologico. Oggi sono 60, due anni fa erano 10”, continua Foglia. “Per ora quelle in fase di certificazione sono 15 e fanno filati, tintorie, tessuti a maglia e denim destinati all’abbigliamento e al settore biancheria. A questi si aggiungono anche imprese che producono prodotti destinati al settore sanitario o della cura della persona come idrofilo, tessuto non tessuto, nettoyage”. La maggior parte di queste industrie però ha come cliente il soggetto intermedio della catena produttiva, per esempio il filatore o il tessutaio, e non il consumatore. Rispetto a quanto avviene nel resto del mondo, le grosse marche non hanno ancora investito in questo settore. “La scommessa è vedere se l’impresa tessile italiana convincerà anche chi fa moda ad alti livelli a entrare nel giro. Solo così, coniugando biologico e fashion-design, diventerà conveniente produrre dei capi di abbigliamento in fibre biologiche”.
E c’è chi ha già raccolto la sfida. “La creatività di uno stilista si misura anche nella capacità di far luccicare qualcosa che non abbia morti e sciagure alle spalle”, ha detto Stefano Dominella, presidente dell’atelier Gattinoni e consigliere della Camera della Moda italiana intervenuto al convegno. “Se la moda non fosse sensibile al bio andrebbe contro le tendenze attuali e questo non è proprio possibile: la moda deve guardare al futuro”.
Il bio è di moda
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E ilregolamento? L'hai letto? 

- *EleBioBio*
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- Iscritto il: mercoledì 22 ottobre, 2008 17:34
Utilizzare eco Bio anche nell'abbigliamento
In casa siete attente ai consumi eco-compatibili. Aderite con entusiasmo alla raccolta differenziata, fate la spesa nei farmer's market (i negozi che portano la merce direttamente dal produttore al consumatore), utilizzate solo lampade a risparmio energetico. E... nella moda? Non sempre si è certe che le proprie scelte fashion siano dalla parte dell'ecologia.
Alcune griffe certificano il proprio impegno in questo senso, ma c'è ancora molto cammino da fare. Per questo è davvero un buon segno (utile anche per lo shopping) l'iniziativa promossa ormai da qualche anno dal British Fashion Council, Monsoon e Accessorize: Estethica (www.londonfashionweek.co.uk, nel search del sito digitate Estetica).
Gli stilisti (ormai numerosi) ammessi a far parte di questo progetto si impegnano a rispettare i principi di Ethical Trade (pagano dunque salari onesti ai lavoratori, anche se in zone del terzo Mondo), Slow Clothes (abiti che durano a lungo) ed Eco Fabrics (utilizzo di materiali organici e riciclabili). L'idea è piaciuta al punto che star come Lily Cole (nuovo volto del cinema, la vedremo a breve nel nuovo film di Terry Gilliam e in quello su Alice nel Paese delle Meraviglie) e la supermodel Irina Lazareanu ne sono entusiaste testimonial.
Gli stili variano, dall'essenziale-metropolitano di Noir al romantico-graffiante di Makepiece; dal geometrico-orientale di Nitin Bal Chauhan all'ingenuo-essenziale di People Tree. Tante idee, modelli per tutti i gusti e soprattutto l'impressione di respirare una boccata d'aria fresca. Anche perché si tratta di abiti che fanno bene all'ambiente...
Articolo da cui è stato estrapolato il testo
Anche la moda è Bio!
Alcune griffe certificano il proprio impegno in questo senso, ma c'è ancora molto cammino da fare. Per questo è davvero un buon segno (utile anche per lo shopping) l'iniziativa promossa ormai da qualche anno dal British Fashion Council, Monsoon e Accessorize: Estethica (www.londonfashionweek.co.uk, nel search del sito digitate Estetica).
Gli stilisti (ormai numerosi) ammessi a far parte di questo progetto si impegnano a rispettare i principi di Ethical Trade (pagano dunque salari onesti ai lavoratori, anche se in zone del terzo Mondo), Slow Clothes (abiti che durano a lungo) ed Eco Fabrics (utilizzo di materiali organici e riciclabili). L'idea è piaciuta al punto che star come Lily Cole (nuovo volto del cinema, la vedremo a breve nel nuovo film di Terry Gilliam e in quello su Alice nel Paese delle Meraviglie) e la supermodel Irina Lazareanu ne sono entusiaste testimonial.
Gli stili variano, dall'essenziale-metropolitano di Noir al romantico-graffiante di Makepiece; dal geometrico-orientale di Nitin Bal Chauhan all'ingenuo-essenziale di People Tree. Tante idee, modelli per tutti i gusti e soprattutto l'impressione di respirare una boccata d'aria fresca. Anche perché si tratta di abiti che fanno bene all'ambiente...
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